La donna elettrica

DATI DI PRODUZIONE
Titolo originale: Kona fer í stríð. Paese: Islanda, Francia, Ucraina. Anno: 2018. Durata: 101’. Regia: Benedikt Erlingsson. Sceneggiatura: Benedikt Erlingsson, Ólafur Egilsson. Fotografia: Bergsteinn Björgúlfsson. Montaggio: David Alexander Corno. Scenografia: Snorri Freyr Hilmarsson, Lucia Malyshko e Anna Maria Tomasdottir. Musiche: Davíð Þór Jónsson. Cast: Halldóra Geirharðsdóttir (Halla / Ása), Jóhann Sigurðarson (Sveinbjörn) Jörundur Ragnarsson (Baldvin), Juan Camillo Roman Estrada (Juan Camillo), Björn Thors (Primo Ministro), Vala Kristin Eiriksdottir (Stefania), Solveig Arnaldsdottir (Gudrun), Margaryta Hilska (Nika), Þórhildur Ingunn (Sirry).
SINOSSI
Halla è una direttrice d’orchestra nelle terre remote degli altipiani islandesi. La sua vita però nasconde un segreto, ovvero quello di essere una eco-militante attiva contro la costruzione di impianti siderurgici e l’azione distruttiva dell’industria dell’alluminio. La sua lotta sarà messa in discussione di fronte alla conferma di una richiesta di adozione da lei espressa in precedenza. Un evento che la vedrà oscillare in bilico fra la sua eco-militanza e la nuova vita da genitore.
COMMENTO
La donna elettrica è un film del 2018 diretto dal regista, attore e sceneggiatore islandese Benedikt Erlingsson. Il lungometraggio, vincitore del Nordic Council Film Prize affronta il tema attuale della lotta ecologica e della tutela del territorio, com’era già era valso per il fil d’esordio del regista, Storie di cavalli e di uomini. Il film getta lo spettatore nel pieno di una guerra ecologica portata avanti da una singola persona, Halla, interpetata dell’attrice e musicista Halldóra Geirharðsdóttir. La sua attività la porterà ad affrontare le sue responsabilità e le conseguenze che avranno sulla vita del suo paese e dei conoscenti a lei cari. Il regista pone chiaramente la questione di cosa sia moralmente accettabile e cosa no, se e come sia giusto lottare per qualcosa di necessario. Riprese mozzafiato del paesaggio islandese e una colonna sonora che si fa letteralmente viva accompagnano questo viaggio solitario di una donna pronta a combattere e ribellarsi. Se da una parte il film presenta momenti comici, dall’altra la colonna sonora, lenta e creatrice di suspence, restituisce una tensione palpabile che si percepisce in ogni secondo. La presenza di una sfida, quella dell’impegno nella crescita di una bambina ucraina adottata, causerà un ulteriore conflitto morale e una nuova lotta per Halla. Le azioni di un singolo possono cambiare la vita di molti?
TRAILER
PREMI
- Haifa International Film Festival 2018: Premio Carmel
- Hamburg Film Festival 2018: Premio Art Cinema
- Festival du nouveau 2018: Prix d’interprétation a Halldóra Geirharðsdóttir
- Semana Internacional de Cine de Valladolid 2018: Migliore attrice a Halldóra Geirharðsdóttir
CRITICA
Il film è un atto di resistenza ambientalista di una donna libera (ma ricercata), in guerra contro i potenti, contro lo Stato, contro l’evoluzione cieca e cinica.
– Alberto Savi, Cineforum
Erlingsson scrive e dirige una storia tutta al femminile, nella quale il fisico e l’intensità espressiva di Hallora Geirharðsdóttir sono protagoniste assolute. La questione femminile è interna al racconto, nel richiamo della maternità, nelle metafore del ventre della terra, nel patto che lega le due sorelle e anche nell’impegno della protagonista nella lotta contro le istituzioni.
– Marianna Cappi, MyMovies
Una commedia brillante e agrodolce che riesce a far riflettere sulle attuali problematiche ambientali con una storia elegante e umana.
– Cristiano Ciliberti, OndaCinema
La donna elettrica parte su basi leggere e giocose ma gradualmente usa l’umorismo e l’assurdo con intelligenza e grazia per affrontare tematiche globali e sociali urgentissime, trasformandosi in qualcosa di più emozionante e commovente: una fiaba moderna, femminista ed ecosostenibile, sulle implicazioni che sorgono quando si prova a combattere il mostro neoliberista e il suo sistema.
– Benedetta Bragadini, Rolling Stone
a cura di Giuseppe Moriggi
Film non privo di tratti surreali e ingenuità, affronta diversi temi attuali e scottanti da un punto di vista duplice: la protagonista si divide in due personaggi, due gemelle che vivono la loro attenzione nei confronti del mondo che le circonda in modi diametralmente opposti. Una infatti opera in maniera pacifica e contemplativa, convinta che “la goccia scava la pietra”, l’altra invece è una impavida guerriera, che brandendo l’arco e facendo brillare l’esplosivo plastico, mira a svegliare prepotentemente le coscienze, convinta che “non c’è più tempo”. Questa duplice coscienza è presente nello spirito ribelle di chi vorrebbe ribellarsi allo status quo, così come il contrasto fra una coscienza pubblica, un obbiettivo sociale, e la salvaguardia dei propri affetti e della propria progettualità (nel film, diventare madre). Sullo sfondo, una realtà politica e pubblica che neutralizza l’antagonismo annacquandone i messaggi, bollandolo con la retorica del (falso) progresso economico e sociale, metabolizzandone a volte lo spirito al fine di depotenziarlo. Tristemente significativo il finale, con la protagonista nel bel mezzo di una alluvione, simbolo dei danni del cambiamento climatico, con una centrale nucleare sullo sfondo.
La donna elettrica di B. Erlingsson è un film rivoluzionario.
Erlingsson riesce a trattare argomenti delicati ed estremamente attuali quali l’attivismo, la guerra e il ruolo della donna attraverso la giusta sensibilità richiamando l’inconfondibile stile Andersoniano.
La protagonista della storia è Halla, ambientalista che porta avanti da diverso tempo quella che è la battaglia per la salvaguardia dell’ambiente contro le industrie d’alluminio islandesi. Si distingue fin da subito rispetto ai prototipi di personaggi femminili a cui siamo abituati: vive da sola, ha circa cinquant’anni e da diverso tempo sta cercando di adottare da sola una bambina ucraina rimasta orfana. Non ha dunque una vita perfetta ma persegue degli obiettivi e degli ideali che la rendono interessante, fuori dagli schemi e che invogliano lo spettatore a conoscere la sua storia.
Una particolarità è sicuramente la scelta di inserire nelle scene dei veri e propri musicisti come colonna sonora che accompagnano la protagonista per tutta la durata del film, alternando momenti di tensione ad alcuni più ironici o anche commoventi. L’elemento musicale è indubbiamente ricorrente, non solo per il ruolo di sottofondo che svolge ma anche per il fatto che dietro alla figura della donna elettrica vi sia l’insegnante di un coro.
Oltre a ciò, un aspetto che ho apprezzato moltissimo di questo film è il rapporto tra Halla e sua sorella. Uguali e diverse allo stesso tempo, si confrontano, si scontrano eppure si rispettano senza giudicarsi, l’una rispetta gli ideali dell’altra ed è proprio alla fine che notiamo quanto sia forte il loro legame, tanto forte da scambiare le proprie vite per permettere ad Halla un nuovo inizio con la desiderata Nika.
La donna elettrica è uno di quei film che aiuta e spinge lo spettatore a riflettere sulla realtà in cui vive e a ragionare sul gesto estremo ma necessario che questa donna ha compiuto per far aprire gli occhi a politici e persone comuni sull’impatto dannoso che determinate scelte dell’uomo hanno sul nostro pianeta. E allora, dopo la visione di questo film chiediamoci, cosa possiamo fare per aiutare la nostra terra? È giusto che una sola persona sia dovuta arrivare a tanto?
Molti aspetti di La donna elettrica di Erlingsson sono già stati oggetto di discussione… perciò vorrei però soffermarmi su un elemento meno esplorato, ma decisamente interessante: il suono. La musica assume un ruolo ambiguo all’interno della diegesi: pur essendo in scena (la fonte è “visualizzata”), svolge una funzione drammatizzante tipica della musica extradiegetica. Questa compresenza richiama la dimensione corale del teatro greco (non a caso, la protagonista dirige un coro).
Nel modello psicologico delle sfere sonore di Sonnenschein, il livello “I see”, in cui un personaggio percepisce consapevolmente la fonte sonora, non sembra compiutamente soddisfatto. La musica, infatti, potrebbe appartenere al livello metadiegetico “I think”: una proiezione del pensiero della protagonista che solo lo spettatore può vedere e sentire.
Inoltre, l’aspetto musicale si radica nella tradizione popolare nordica, con una netta distinzione tra formazioni strumentali maschili e vocali femminili. Significativa è l’assenza di strumenti elettrificati o amplificati: la musica si sviluppa interamente in un contesto acustico, sia negli ambienti interni che in quelli esterni. Questo elemento si rivela cruciale, in quanto sottrae il suono alla dimensione della “schizofonia” descritta da Murray Schafer, ovvero quella separazione tra il suono originale e la sua riproduzione elettroacustica, raggiunta con l’avvento dell’elettricità che ha permesso di amplificare o fissare i suoni con la fonografia. Il suono è sempre organico e radicato nell’azione scenica.
Questa scelta appare coerente con il messaggio ecologista della protagonista, il cui attivismo si estende anche alla sfera sonora. La musica popolare, infatti, rientra nel concetto di “impronte sonore” di Schafer: insieme ai suoni ambientali, contribuisce a definire l’identità di un territorio, agendo come marcatore geografico e culturale. Il paesaggio sonoro del film, dunque, non è solo sfondo ma parte integrante della narrazione, un patrimonio da proteggere al pari dell’ambiente naturale.