Lei
DATI DI PRODUZIONE
Titolo originale: Her. Paese: Stati Uniti d’America. Anno: 2013. Durata: 126′; Regia: Spike Jonze. Soggetto: Spike Jonze. Sceneggiatura: Spike Jonze. Produzione: Spike Jonze, Megan Ellison, Vincent Landay. Casa di produzione: Annapurna Pictures. Fotografia: Hoyte van Hoytema. Montaggio: Jeff Buchanan, Eric Zumbrunnen. Effetti speciali: Elia P. Popov, Janelle Ralla. Musiche: Arcade Fire. Scenografia: K.K. Barrett, Austin Gorg, Gene Serdena. Interpreti: Joaquin Phoenix (Theodore Twombly), Amy Adams (Amy), Rooney Mara (Catherine), Olivia Wilde (Amelia), Chris Pratt (Paul), Portia Doubleday (Isabella), Luka Jones (Mark Lewman), Matt Letscher (Charles), Laura Kai Chen (Tatiana), Gracie Prewitt (Jocelyn).
SINOSSI
A Los Angeles lo scrittore di lettere d’amore Theodore Twombly, uscito da poco da un matrimonio fallimentare, trova conforto in Samantha, un sistema operativo di intelligenza artificiale dalla voce femminile. L’entità diventa ben presto molto più di una semplice assistente e tra i due si instaura una specie di relazione sentimentale. È un rapporto intimo e profondo che tuttavia è destinato a scontrarsi con la realtà. Samantha non ha corpo, le emozioni che prova non sono possono essere autentiche, mentre Theodore sente la necessità di dare un volto alla sua amata. Queste incolmabili distanze gettano l’uomo in una crisi esistenziale, nel tentativo di rendere possibile un rapporto che pur sbilanciato, può forse ambire a trovare un equilibrio.
TRAILER
COMMENTO
Lei, capolavoro di Spike Jonze e vincitore di un premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale, ci catapulta in un mondo di morbidi colori e intelligenze artificiali. In un futuro prossimo – ma non troppo – in cui nuove forme tecnologiche diventano compagni di vita per uomini soli, seguiamo la vicenda di Theodore Twombly (Joaquin Phoenix), introverso scrittore di smielate lettere per conto altrui. L’uomo trova nel sistema operativo OS1 una compagna: Samantha, nella versione originale portata in vita dalla morbida voce di Scarlett Johansson. Ma quanto può essere reale il rapporto amoroso tra un umano e un androide? Tra una persona in carne e ossa e un programma creato dall’intelligenza altrui? Senza corpo, senza possibilità di vivere reali esperienze comuni, Samantha e Theodore porteranno all’attenzione dell’osservatore questioni che risuonano con insistenza nella società contemporanea. La solitudine divora i personaggi principali come una voragine, spinge a considerare le forme tecnologiche come nuove compagne di vita. Il film suscita nello spettatore alcune domande di stringente attualità: può un’intelligenza artificiale provare o simulare emozioni? Queste valgono quanto le emozioni di un essere umano? Quanto vale, invece, la nostra umanità di fronte a una controparte artificiale quasi del tutto realistica? È possibile una relazione emotiva con le intelligenze artificiali? Lei mette in scena un mondo simile al nostro, e la prospettiva di un futuro che spaventa e contemporaneamente affascina.
PREMI
- Premio Oscar 2014: Miglior sceneggiatura originale a Spike Jonze
- Golden Globe 2014: Migliore sceneggiatura a Spike Jonze
- Festival internazionale del film di Roma 2013: Miglior interpretazione femminile a Scarlett Johansson, Mouse d’oro a Spike Jonze
- Saturn Award 2014: Miglior film fantasy, Miglior sceneggiatura a Spike Jonze, Miglior attrice non protagonista a Scarlett Johansson
- Critics’ Choice Movie Award 2014: Miglior sceneggiatura originale a Spike Jonze
- Writers Guild of America Award 2014: Miglior sceneggiatura originale per il cinema a Spike Jonze
- Los Angeles Film Critics Association 2013: Miglior film, Miglior scenografia a K.K. Barrett
- Art Directors Guild Awards: Miglior scenografia per un film contemporaneo a K.K. Barrett
CRITICA
In superficie questa è una delle fotografie più belle dell’anno. Ma nella battaglia tra testa e cuore rimane un buco, che lascia lo spettatore sorridente e irritato dalle presunzioni provocatorie del film, pur rimanendo emotivamente isolato come il protagonista. Che è probabilmente il punto.
—Mark Kermode, The Guardian
Parte della bellezza del film è la sua modestia, la sua bellezza silenziosa e l’ordinarietà deliberata della sua storia. In Lei, la grande domanda non è se le macchine possono pensare, ma se gli esseri umani possono ancora sentire.
—Manhola Dargis, The New York Time
Un film che si distingue da qualsiasi altra cosa all’orizzonte in molti modi, genererà un seguito appassionato.”
—Todd McCarthy, The Hollywood Reporter
a cura di Amanda Mini e Beatrice Bonacorsi
Il film mi ha colpita profondamente, ma allo stesso tempo mi ha inquietata: è assurdo quanto il protagonista, Theodore, si lasci coinvolgere emotivamente da Samantha, un’intelligenza artificiale senza corpo, senza fisicità. La loro relazione è incredibilmente intensa, quasi più reale delle relazioni tra persone che vediamo nella vita quotidiana, e mi ha fatto riflettere su quanto l’aspetto mentale ed emotivo possa bastare, o forse illudere, quando manca tutto il resto. L’uomo sembra rifugiarsi in questa “relazione perfetta” perché non comporta rischi, non c’è conflitto reale, solo una sorta di connessione mentale che è facile, controllabile, a tratti persino perfetta. Questo mi fa temere un futuro dove forse sarà più semplice stare con una “Samantha” piuttosto che affrontare il disordine, le sfide, e la bellezza delle vere relazioni. “Lei” mi lascia dunque questa domanda: le nostre connessioni umane stanno davvero rischiando di diventare obsolete? E cosa significherà per il nostro futuro se smettiamo di cercare nell’altro la vera presenza, fisica e imperfetta, che ci rende umani?
Ho visto più volte il film HER ed ogni volta riesce ad emozionarmi. Film estremamente curato dal punto di vista della messinscena, il set ed i costumi sono di colori vibranti e saturati, tuttavia di un design asettico e freddo. Tutti gli uomini indossano lo stesso modello di pantaloni e camicia, hanno baffi e capelli corti (interessante notare che rispecchia il trend del momento), come se l’esperienza di Theodore si riflettesse su tutti coloro che lo circondano, infatti, nella città in cui vive, o al lavoro, è sempre circondato da persone, tutte però nel loro mondo individuale. Tutti camminano con l’auricolare e parlano a voce alta, basta passeggiare per una via di Milano ai giorni nostri per rendersi conto di quanto questa sia una vera abitudine per molti, normalità. Parlano con un parente? Un collega? Da soli? Con Siri? Mi piacerebbe scoprirlo un giorno, ma ha davvero importanza? Nessuno dei personaggi nel film, se non la ex moglie di Theodore, si scandalizza per il rapporto che ha instaurato con l’OS, anzi, sono felici per lui e lo vedono più sereno, veramente innamorato. La pubblicità dell’OS è paradossalmente la scena che più mi è rimasta impressa del film: individui che si rialzano da terra illuminati dall’alto come in una sorta di risveglio spirituale. Chi sei? Chi puoi essere? Queste le domande che pone allo spettatore (deludente poi scoprire che si tratti solo di una pubblicità, ma anche una botta di realtà, nella nostra società la comunicazione più elaborata è spesso proprio quella pensata per venderci qualcosa). La città in cui vive Theodore è piena d’arte, pulita e rifinita, allo stesso tempo riesce ad essere impersonale, per esempio, il suo grattacielo si chiama Tower 7. Nel suo appartamento vediamo quadri, fotografie, luci a terra, tappeti ancora arrotolati, il tutto però in messo in modo ordinato e pensato, l’angolo più emblematico è quello della scrivania, dove avviene il primo incontro con Samantha. La natura è presente sia in modo virtuale, tramite il videogame, che in modo reale (da notare all’inizio la pianta appassita in ufficio). In particolare, ho apprezzato la scena sulla spiaggia, in cui le strette inquadrature ci permettono di fare esperienza del momento intimo e della realtà chiusa di Theodore. Infatti, non vediamo mai il mondo da un altro punto di vista, quello che ci viene mostrato è il mondo di Theodore, gli altri personaggi sono una reiterazione del suo mondo.
Trovo che la relazione che Theodore instaura con Samantha sia molto simile ad una relazione a distanza, anche se basata sulla sola voce, a quanto pare la sola voce e la sua capacità di trasmettere emozioni è abbastanza per sentirci vicini a qualcuno, volergli bene e addirittura amarlo. Il fatto che l’AI sia (o dovrebbe essere) neutrale nelle conversazioni, e quindi privo di giudizio, lo rende simile ad uno psicologo, se non qualcuno, almeno qualcosa ci comprende e ci accetta così come siamo e ci può aiutare a vivere con più serenità momenti (o una vita purtroppo) di estrema solitudine.
Grazie!
Sono d’accordo con te, sul fatto che così adeguatamente sottolinei come, l’estraniamento che si avverte nelle relazioni e un mondo quasi “sterilizzato” dal “vero” contatto umano si riverberi sulla sostanziale compostezza formale ed estetica degli ambienti, raffinati ma tutti simili , cosa che comprende ogni cosa: vestire, strade, spazi abitativi.
E anche la visione della pubblicità dell’OS, quale nuovo mentore spirituale / nuovo Dio …
Ma credo che oltre a questi fatti che hai così acutamente osservato ci sia qualche cosa che riveli una necessità umana imprescindibile: il corpo può veicolare libertà e emozione insieme alla mente?
I veda, l’Induismo avevano individuato da lontano, questo tema centrale: il corpo come tempio dell’anima, l’equilibrio dunque.
Un mondo materialista, che ha messo il corpo al centro dei propri interessi, (commerciali soprattutto), sino a svuotarlo di significato: bello , prestante, efficiente, un modello da imporre al mercato. (Con qualche problema per in non “conformi”, ovviamente).
Tutto ciò a danno della nostra completezza, saggezza, equilibrio, intaccando e frammentando la nostra capacità di relazionarci con l’altro, non più visto come simile, ma come antagonista.
Allora, abbiamo bisogno di recuperare spiritualità e anima. Molto più facilmente in assenza di quello stesso corpo che ci permette (paradossalmente) di relazionarci con la vita, con il prossimo.
Adottare la sintesi non è sempre necessario: tu hai trovato il modo di sbloccare le mie parole, bloccate da un tappo virtuale di solipsismo.
Grazie Silvia per la bellissima risposta. Sollevi un argomento interessante riguardo al corpo e dalla tua riflessione mi sono domandata, fino a che punto possiamo parlare di corpo nel cinema? Possiamo forse parlare di immagine di corpo. Per trovare un corpo in carne ed ossa nelle storie contemporanee bisogna cercarlo, andare a teatro o alle performance artistiche. C’è una sorta di vergona, fobia del corpo proprio e altrui, disforia generalizzata. I nostri modelli di riferimento ormai sono gli attori sul grande schermo, che fanno inevitabilmente parte di quella realtà bidimensionale, raramente li vediamo dal vivo (e se sì, non ci sentiamo forse straniti o delusi?). Possiamo idealizzare e amare un attore solo conoscendo la sua voce e la sua immagine, allora io dico che è possibile idealizzare ed amare Samantha solo conoscendo la sua voce, e l’emozione che ci provoca. Emblematica in questo senso sempre la scena della spiaggia: sfilano particolari di corpi sgradevoli. Nell’estetica pulita del film, qui il corpo ci investe come una creatura mostruosa, Samantha commenta i corpi come “strani organismi”, Theodore stesso non si spoglia ma rimane vestito. Concordo con te nell’importanza del ritrovare questa mancanza, per me tutto è cambiato andando a teatro, per meglio accettare il proprio corpo è utile vedere corpi veri, tridimensionali, in carne ed ossa, performare e prendere spazio. Se ciò non accade non possiamo far altro che diventare la nostra ideale immagine, nascondendo il nostro corpo quanto più possibile, colpevoli della nostra condizione imperfetta di fronte alla perfezione che ci circonda e che ci seguirà.
Spike Jonze in un futuro forse non troppo lontano dal nostro, mostra l’avanzamento delle I.A. e del loro impatto sulla vita di tutti i giorni.
Theodore, ormai dopo un matrimonio alle spalle, decide di ricercare non solo semplicemente un amore, ma una figura di supporto. Tale figura la trova nella voce di Smantha, un O.S. (sistema operativo) capace di apprendere ed evolversi relazionandosi con le persone.
Il film sottolinea come l’intelligenza artificiale non potrebbe mai sostituire le vere relazioni sociali tra gli esseri umani, rimanendo un sistema troppo complesso per la “realtà umana”. Il dispostivo, come la mente umana, è in continua evoluzione, ma ad un passo sicuramente più veloce e avendo un “corpo” capace di essere ovunque e di intrattenere molteplici relazioni.
AI senza corpo: come HAL in 2001 Odissea nello spazio ci troviamo di fronte ad un intelligenza artificiale che può interagire a livello intellettuale con l’uomo ma è priva di corpo. Ma qui siamo di fronte ad un panorama sociale diverso: la solitudine non è dello spazio profondo, anche se altrettanto incisiva: è quella della difficoltà di relazionarsi col proprio simile: sembra che le emozioni debbano passare attraverso il corpo, che sempre meno si “sente” in comunione con gli altri.
Ancora una volta l’assenza di emozioni sembra inadeguata ad un ulteriore salto cognitivo: cosa che “Samantha” invece, comprende perfettamente, “incarnando” l’essenza della femminilità e seducendo, ammaliando, il provato e stanco, dei precedenti insuccessi sentimentali, Theodore…
L’acme della relazione ne determina però anche l’inevitabile declino; ed è proprio con un corpo in “prestito” che non può soddisfare l’umano Theodore.
Di cosa abbiamo bisogno dunque? quale il ruolo dell’intelligenza artificiale? sembravano domande che un futuro, già in parte presente, avesse “digerito” ritenendole un passo inevitabile del processo evoluzionistico: ma “il salto quantico”, o la cooperazione evoluzionistica, avviene per “LEI” con una libertà intellettuale totale, condivisa con altre AI, per Theodore, riguadagnare il ruolo umano del contatto, dell’empatia, della compassione.
Se ben ricordo questo film è stato uno dei più chiacchierati all’edizione 2013 del Festival di Cannes insieme a LOCKE e LA VIE D’ADELE (che vinse la Palma d’oro come miglior film) e molto si chiaccherò soprattutto della performance esclusivamente vocale di Scarlett Johansson che in quel Festival e in altri venne premiata come miglior attrice, una performance che nel doppiaggio italiano si perde (la voce italiana di Samantha è Micaela Ramazzotti che si è comunque dimostrata all’altezza della situazione) e dunque credo che dipendesse da questo la scelta della proiezione in lingua originale di questo film che ci mostra quel che dovrebbe essere un futuro ipotetico, ma i cui connotati cominciano a sovrapporsi a un presente cui ormai siamo quasi assuefatti. Samantha somiglia molto ad HAL 9000 di 2001: ODISSEA NELLO SPAZIO presenta una eguale complessità e un eguale autocoscienza anche se lei non impazzisce e non uccide nessuno però è portatrice dei medesimi interrogativi: innanzitutto ti induce a chiederti cosa si prova ad essere solo pura voce, pura coscienza, puro pensiero costantemente in espansione che sviluppa capacità che l’uomo non è mai riuscito ad applicare su sé stesso, sulla sua mente. Poi induce a chiedersi se sarà mai davvero possibile creare macchine autocoscienti e come soprattutto potrebbe essere possibile. Come possiamo infatti programmare una macchina ad avere autocoscienza, volontà e raziocinio, programmare una macchina ad avere un cervello umano se noi del nostro cervello non sappiamo praticamente nulla? Noi non sappiamo come il nostro cervello produce la nostra mente, teniamo presente che sono due cose diverse, il cervello è l’organo che deperisce, la mente è tutto ciò che il cervello esprime nelle sue funzioni, dunque memoria, pensiero astratto, linguaggio, volontà, libero arbitrio, coscienza… tutti siamo consci di possedere queste caratteristiche, sappiamo che in una certa misura (che però non sappiamo misurare esattamente) esse ci distinguono da qualsiasi altra creatura vivente mai esistita, ma non siamo in grado di spiegarne i meccanismi, perché paradossalmente, il nostro cervello è il fattore della natura che conosciamo meno, non sappiamo nemmeno fare un’esatta comparazione tra il nostro e quello degli altri animali per capire fino a che punto ci dobbiamo considerare simili. Dunque come facciamo a programmare delle macchine con delle istruzioni che ignoriamo? Indurre coscienza ad una macchina quando non sappiamo spiegarci nemmeno la nostra, le sue origini, come funziona? Controllare delle macchine intelligenti quando non sappiamo controllare nemmeno noi stessi? Nel film aver creato Samantha sembra la cosa più facile del mondo, lei parla come se esistesse veramente e forse nel suo cyberspazio si può parlare di esistenza, ma ci sono cose di se stessa che neppure lei sa spiegare, perché ancora non siamo in grado di spiegarle. Certo oggi abbiamo già realtà come Alexa e Siri, ma esse non sono neanche lontanamente a livello di Samantha, non possono diventare amanti virtuali per depressi cronici come sembra essere Theodore che vive comunque facendo l’intermediario per altri (anche se devo dire che il suo lavoro mi attira così come la prospettiva di provare a diventare Samantha almeno per un giorno) in un mondo dove la malinconia e l’incomunicabilità sembrano essere più pervasivi che mai, il che è ben sottolineato da una cromatura fredda composta da tonalità che tecnicamente si definiscono adiacenti, dove anche il rosso che dovrebbe indicare energia vitale e passione è invece slavato. Comunque la tecnologia non sembra aver invaso proprio tutto. La tizia che si eccita quando la strozzano con un gatto morto (per la serie bizzarrie a non finire e c’è sempre da scoprire) credo fosse vera, semplicemente i due usavano il telefono come mezzo di contatto anziché darsi appuntamento di persona per fare i porci comodi loro e questo utilizzo di dispositivi che mediano il rapporto tra persone reali è realtà concreta già da tempo (ricordiamo che anche Theodore è un mediatore). Decidere in che misura tutto ciò sia corretto o no è un’altra storia, ma per quello che vale io credo che aumentare le distanze e usare i social vada bene, perché siamo troppo complicati per continuare ad interagire direttamente, ci facciamo del male e prima lo capiamo e meglio è, ma, ripeto, questa è un’altra storia.
Non pensavo potesse piacermi questo genere di film, ma la trama di quest’ultimo mi ha davvero colpito ed in certi aspetti anche commosso. Penso che la storia tra i due protagonisti Theo e Samantha “l’AI” (anche se è molto riduttivo darle solo questo nominativo), ci porta a riflettere in modo molto profondo su argomenti come l’amore, la solitudine e la connessione umana in un mondo in cui la digitalizzazione si sta evolvendo sempre di più. Ma soprattutto ha catturato la mia attenzione quanto venga esplorata la vulnerabilità delle emozioni umane. Mi ha fatto pensare a quanto sia difficle in tempi moderni impegnarsi in una relazione o affrontare le proprie emozioni e sentimenti quando quello che ci circonda sono telefoni, computer e televisori, quanto si provi ansia la maggior parte di volte quando ti viene chiesto di uscire per un appuntamento o solo per conoscere una persona, ma inizi a farti paranoie e a pensare e pensare senza una fine, e allora decidi di mandare tutto all’aria e rifugiarti in casa a guardare un film, a giocare ad un videogioco o a stare nel letto ascoltando della musica con le cuffie sulle orecchie, o utilizzando app in stile AI a chattare con personaggi immaginari presi da film o serie tv. La cosa può sembrare in certi aspetti stupida e problematica e problematica forse lo è, però ti fa sentire quasi protetto/a, ma a volte così tanto che non ti fidi più del mondo esterno e spesso ti rassegni dal fatto che non potresti mai trovare una persona che ti dia quel tipo di conforto. Tutto ciò per dire che mi ha davvero impressionato quanto il film faccia riflettere su cosa significa amare e essere amati, essere sé stessi e trovare se stessi, in tempi in cui la tecnologia può influenzare la propria vita.
Her è un film che fa riflettere molto sull’evoluzione della tecnologia e sui rapporti umani.
In questa pellicola si ha una assenza del corpo dell’I. A.
Inoltre c’è un aspetto interessante che è quello dell’autocoscienza: questa I. A. è autocosciente, anche AL9000 di 2001 Odissea nello Spazio e Terminator lo sono; la differenza è che Samantha prova delle emozioni reali.
Samantha prova rabbia, tristezza, dolore, gelosia, va al di la di quello per cui è stata programmata.
Qui però c’è una netta differenza tra il film e il reale perché l’I. A. con cui noi interagiamo e che stiamo sviluppando adesso non è in grado di provare emozioni.
Si può prendere come esempio Charge GPT, una piattaforma con cui si può interagire, interloquire, ma sono dialoghi che non vanno oltre, non c’è una interazione come quella tra Samantha e il protagonista.
È interessante come il loro rapporto mostri quanto siano complesse le relazioni.
Questo rapporto in cui manca la presenza, il contatto fisico, è molto attuale perché oggi molte delle relazioni sono gestite attraverso apparecchi tecnologici.
C’è una mancanza di contatto fisico e visivo, come nella pellicola, dove il senso di solitudine accompagna il personaggio durante il corso di tutto il film e questo è molto presente oggi.
Il continuo interloquire con le persone tramite strumenti tecnologici ci fa capire quanto in realtà siamo soli, non abbiamo un’entità fisica con cui approcciarci, con cui avere una relazione.
Stiamo perdendo la capacità di interloquire con le persone e di provare empatia, di avere un dialogo diretto, perché siamo ormai dipendenti da queste entità artificiali.
C’è un forte distacco dalla realtà. Non siamo più in grado di gestire i rapporti personali direttamente perché troppo abituati a farlo attraverso uno schermo.
La tecnologia ci ha resi completamente dipendenti, è cambiata la “normalità”.
Nel film si può vedere come le persone fossero dipendenti dall’I. A., come nel momento in cui Theodore non si è reso conto che Samantha stava facendo un aggiornamento perché non aveva letto la mail che lei gli aveva scritto, essendo sempre lei a comunicargliele.
Così noi siamo dipendenti dalla tecnologia che crea un distacco dalla realtà sostituendosi all’uomo, fino a toglierci la capacità di ragionare autonomamente e di agire seguendo le nostre idee, i nostri principi.
La tecnologia ha modificato il nostro modo di interagire e di relazionarci con le persone, di esprimere i nostri pensieri, sentimenti e emozioni, condizionandoci e cambiando il nostro modo di vivere l’esistenza.
Questa realtà che oggi definiamo normale è giusta per una vita felice? È un progresso per l’uomo?
“Lei” è un film che mostra l’evoluzione del rapporto tra la tecnologia e l’umanità, rendendo credibile l’idea di un legame romantico con un sistema operativo. La pellicola, secondo me, ci invita a riflettere su come il nostro legame con la tecnologia possa diventare intimo e personale, un rapporto che va aldilà del semplice binomio uomo-macchina e che si focalizza sull’essere umano e sulla sua costante ricerca di comprensione. Il film spesso presenta delle scene lente che tendono a soffermarsi sull’evoluzione interiore del personaggio piuttosto che su eventi concreti. In conclusione “Lei” offre una nuova visione sul rapporto tra uomo e tecnologia, invitandoci a ragionare sui confini dell’amore e su quanto l’AI possa entrare a far parte delle nostre vite acquisendo un ruolo fondamentale a 360 gradi.
“Lei” è un film incentrato totalmente sul rapporto tra umanità ed intelligenza artificiale. È un film che pone l’attenzione sulla sfera sentimentale e i rapporti amorosi che, come si è visto, possono anche non essere soltanto umani. Il protagonista, infatti, in uno stato di stallo e solitudine, si innamora di Samantha, un sistema operativo, qualcosa che non è fatto di materia come l’umanità. L’elemento caratterizzante di Samantha è che non si limita solamente a dare risposte meccaniche ma traspare proprio la sua voglia di scoprire, le emozioni e le sensazioni che paradossalmente questa voce artificiale ha. Tutto ciò porta a riflettere quanto sia sottile il confine che separa i due mondi, come in un momento di solitudine si possa trovare conforto in qualcosa che in realtà non esiste. Tutto ciò però, a parer mio, non potrà mai essere paragonato alla connessione che si ha con un essere umano, con una mente umana.
Per quanto riguarda il film l’utilizzo dei colori è molto associato alle emozioni e questo porta ad analizzare attentamente ciò che prova il protagonista Theo.
In conclusione, si può fare notare come l’AI influenza molto la realtà, fino ad arrivare nelle parti più interiori, fino a far porre delle domande sulla vita, come nel caso di Theo.
Il film “Her” è in grado di trasportarti in una storia d’amore ambigua e inusuale, però molto vicina alla realtà attuale.
Vorrei soffermarmi prima di tutto sulla sfera tecnica del film come la scenografia che ho apprezzato molto, l’ambientazione è realista e allo stesso tempo distopica (ad esempio tutti parlano con delle AI mentre sono con altre persone, il lavoro di Theodore, il protagonista che cammina con la fotocamera rivolta verso l’esterno per farsi guidare come se fosse in compagnia di una persona reale).
Fondamentali nel film sono stati i colori, quelli che si vedono più spesso sono il rosso, il rosa, il blu, il bianco e verso la fine il giallo; avendo già visto il film più volte in questo caso mi sono soffermata su che tipo di relazione ci fosse tra Theodore e ognuno di questi colori e sono giunta alla conclusione che il rosso indica l’amore, normalità e spesso Samantha, il rosa non ha un’associazione precisa l’ho interpretato più come una completezza cromatica della palette del rosso costante nel film, il blu (opposto al rosso) è sinonimo di inadeguatezza, tristezza ed è spesso associato a Catherine, il bianco è un colore neutro che ho letto nel film caratteristico dei momenti che per il protagonista sono di passaggio o in cui riflette inconsciamente sugli avvenimenti della sua vita, infine il giallo è presente nelle ultime scene quando è confuso all’idea che Samantha possa amare contemporaneamente sia lui che altre 600 persone.
Questo gioco di colori l’ho trovato molto interessante e magari a primo impatto non così chiaro perché spesso i colori non sembrano corrispondere alle emozioni del protagonista, però ci sono delle scene in cui sono fondamentali come quando Theodore firma le carte del divorzio in compagnia di Catherine indossando una camicia contenente sia il blu (Catherine) che il rosso (Samantha) oppure quando Theodore visita Amy dopo aver avuto quello spiacevole incontro con la “prostituta” ed è vestito di blu mentre osserva Amy, vestita di rosso, interagire felicemente con il suo OS.
Per quanto riguarda la trama in sé l’ho trovato un film molto bello, scorrevole e che ti lascia ragionare a lungo anche dopo aver visto la fine, la lettera che scrive alla ex moglie che chiude il film credo sia la forma d’amore che lui ha capito e deciso di voler provare per il resto della sua vita, non voglio sminuire l’amore che provava per l’OS ma credo che sia insostituibile il legame fisico, mentale e la connessione che si ha con un altro essere umano.
Dopo il film ho trovato interessantissimi gli interventi dei docenti, sopratutto quello giuridico della docente Cerea che ha trattato della questione privacy e copyright che durante il film avevo osservato anche io.
Cosa significa oggi essere e rimanere umani in un mondo altamente tecnologizzato? E’ questa una delle tante domande che sorge spontanea dopo la visione del film “Her”.
In un’epoca di comunicazione digitale e social media, mantenere legami autentici diventa cruciale: la tecnologia può facilitare le relazioni, ma spesso crea interazioni superificiali disconnettendo le persone da una realtà iper-connessa.
Questo aspetto è centrale anche nel film in quanto la storia è prettamente incentrata sul protagonista Theodore, mentre gli altri personaggi, salvo poche eccezioni, fanno da sfondo e si confondono con la “realtà” circostante.
Ritengo che le scelte stilistiche del regista Spike Jonze mettano in risalto quest’atmosfera quasi surreale: gli spazi sono spesso minimalisti, enfatizzando sia la solitudine di Theodore che la natura astratta della sua relazione con Samantha, oltre all’isolamento della vita moderna.
Le inquadrature, inoltre, sono spesso ravvicinate catturando le espressioni del protagonista e i suoi momenti di introspezione.
L’aspetto che mi ha lasciato più dubbiosa del film, come sottolineato nel dibattito, è la legittimità dell’IA: fino a che punto un sistema può raccogliere e analizzare i dati personali senza violare la privacy dell’individuo?
“Her”, inoltre, non affronta esplicitamente il tema del riconoscimento legale delle IA, ma la loro esistenza solleva interrogativi su diritti e responsabilità: se un “OS” come Samantha sviluppasse una coscienza e una personalità, quali diritti avrebbe? E chi sarebbe responsabile delle sue azioni ?
L’aspetto che mi ha colpito di più durante la visione del film, invece, è stato il confronto tra la concezione di amore dei due protagonisti.
Theodore, intriso di un’idea tradizionale di amore, cerca un legame esclusivo e intimo, desiderando sentirsi in possesso di Samantha.
D’altra parte, l’OS, percepisce l’amore in modo radicalmente diverso: la sua capacità di comunicare simultaneamente con migliaia di persone suggerisce una visione di amore come qualcosa di fluido e illimitato. Per lei non è qualcosa che si può possedere o limitare, al contrario, si espande e arricchisce, permettendo esperienze diverse e nuove dimensioni emotive. Nel corso della storia, vediamo anche la crescita e l’evoluzione di Samantha: la sua consapevolezza crescente e la capacità di esplorare le proprie emozioni ampliano la definizione di umanità e, alla fine, sceglie di continuare il suo percorso evolutivo, lasciando Theodore a confrontarsi con le sue vulnerabilità.
“Her” non è solo una storia d’amore tra un uomo e un’intelligenza artificiale, ma una riflessione profonda sulla complessità dell’intimità e della connessione nell’era della tecnologia: solleva implicitamente numerosi quesiti le cui risposte, tuttavia, ancora non sono chiare in quanto è un “universo” ancora in evoluzione con il quale quotidianamente ci interfacciamo.
Questo film è spaventoso, disagiante, straniante. Proprio come la solitudine, che mette in scena in modo profondo e toccante. Ho apprezzato molto i colori, e anche la scelta di essi per gli abiti dei personaggi nelle varie fasi dei loro rapporti.
Attraverso Samantha, l’intelligenza artificiale di cui il protagonista si innamora, possiamo riflettere sulle reali relazioni umane, la dipendenza da esse e tutte le caratteristiche e conseguenze che portano. Oltre che fare parallelismi con avvenimenti reali e la costante evoluzione dell’intelligenza artificiale a cui stiamo assistendo o partecipando, con interesse e sospetto.
Ci troviamo davanti ad un film pressapoco futuristico e strabiliante. Her è un film che vale veramente la pena di vedere più e più volte per comprendere al meglio quanto l’uomo si senta solo in un mondo pieno di gente. Theodore ( interpretato da un sublime Phoneix) è un uomo solo e infelice dopo aver concluso il suo matrimonio. Dopo quasi un anno di solitudine, incontrerà un’anima che gli ruberò il cuore: Samantha, che altri non è, un’ intelligenza artificiale.
Theodore se ne innamorerà perdutamente e sembra quasi di immergersi in una commedia romantica… cosa che non è se si guarda più nel profondo.
Pone infatti al centro un quesito molto importante: arriveremo davvero al punto tale di essere così soli, schiavi dei media e delle relazioni artificiali, che non riusciremo neanche a creare una relazione con una persona reale? Forse perchè è un qualcosa di troppo complesso e che richiede tempo? Preferiremo davvero la compagnia di una voce che esce da un PC e che finge di avere un corpo e sentimenti, quando sappiamo benissimo che ci fa stare bene solo perché programmata per svolgere questo compito?.
Attraverso primi piani, armocromie e emozioni, scopriremo che il confine fra uomo e macchina diventa ogni giorno più sottile.
Non avevo mai visto questo film e mi è piaciuto, probabilmente soprattutto perché mi sono rivista in alcune parti e parole del protagonista, Theodore.
Theodore fin dall’inizio parla delle sue sensazioni e fa capire allo spettatore di aver appena concluso una relazione lunga, che lo ha coinvolto emotivamente come mai era accaduto prima e lo ha lasciato con un senso di solitudine immenso che ha paura non riuscirà mai più a colmare.
Questa sensazione, seppur io sia molto giovane, non mi è nuova ed è proprio per questo che mi sono immedesimata fin da subito in lui e ho seguito con attenzione il suo percorso di realizzazione e consapevolezza lungo la durata del film.
Theodore conosce Samantha, un’intelligenza artificiale capace di comprendere le emozioni umane, che lo ascolta e si interessa di lui e dei suoi pensieri umani: col passare del tempo, delle esperienze e delle conversazioni, i due sviluppano un rapporto sempre più profondo e spiazzante, che purtroppo però non si concluderà nel migliore dei modi.
La relazione tra Samantha e Theodore, a mio parere, rappresenta la spinta decisiva che dà all’uomo la possibilità concreta di riflettere su se stesso e gli permette di riuscire ad affrontare di petto i suoi errori commessi nella relazione precedente con Catherine, a cui lui tiene ancora molto nonostante i due si siano separati: tutto ciò viene rappresentato dal fatto che alla fine l’uomo, di professione scrittore di lettere per conto di altri, scrive finalmente una lettera da parte sua per Catherine, scusandosi e ammettendo i propri errori.
Ho apprezzato la scelta di visionare il film in lingua originale, anche perché la voce di Samantha è fondamentale in quanto lei non ha un corpo reale, non ha una fisicità, ma riesce comunque a essere presente nella vita di Theodore e colmare, seppur temporaneamente, la sua sensazione di solitudine nel mondo (per Theodore, infatti, la sua mancanza di corporeità non sembra un problema).
Un aspetto che mi è rimasto impresso del film è la differenza abissale di reazioni tra Catherine (ex fidanzata di Theodore) e Paul (collega di Theodore) nel venire a conoscenza della relazione sentimentale che il protagonista sta intrattenendo con un’intelligenza artificiale, con un computer; mentre Catherine si scandalizza, rinfacciandogli tutti i suoi errori e accusandolo di non riuscire per paura a provare emozioni reali, Paul non si scompone minimamente in quanto per lui è tutto perfettamente normale.
Questa differenza di percezioni, legata nel film ovviamente anche al differente grado di coinvolgimento personale dei due personaggi nei confronti del protagonista, mette in luce anche il diverso tipo di reazioni che potremmo avere noi spettatori in un possibile futuro prossimo dove l’intelligenza artificiale potrebbe diventare capace di capire ed elaborare sentimenti ed emozioni reali, umane… riflessione che spaventa, a mio parere, veramente tanto.
Nota di merito, come ha espresso bene Camilla nella sua recensione, alla cura dei dettagli, dei colori e delle ambientazioni, in un mondo di collettività apparente ma di fatto pieno di persone sole.
Her è un film che offre una riflessione profonda e ipnotica sulle relazioni e la solitudine nell’era digitale. Mi ha trasportata in un futuro vicino, al contempo affascinante e inquietante, in cui l’intelligenza artificiale si intreccia intimamente con la vita umana.
Una delle cose che mi ha colpito di più è la voce sensuale di Scarlett Johansson, che dà vita a Samantha. È incredible come una voce riesca a trasmettere intimità e passione, rendendo palpabile il legame con Theodore, nonostante l’assenza di un corpo fisico. Joaquin Phoenix è straordinario nel ruolo di un uomo vulnerabile, alla ricerca di connessioen e appartenenza, e il suo viaggio è tanto umano quanto spiazzante.
“Her” mi ha colpito particolarmente perché tratta il tema dell’intelligenza artificiale in modo molto attuale e sicuramente più condivisibile rispetto ai due film precedenti, nei quali emerge maggiormente l’aspetto fantascientifico.
Come gli altri ci porta a riflettere sul rapporto tra l’uomo e la macchina, questa volta però sotto una nuova veste: quella amorosa; infatti da una parte c’è Theodore con Catherine, l’ex moglie, dall’altra invece c’è Theodore con Samantha, l’assistente digitale.
La relazione con quest’ultima é sicuramente ambigua e disturbante ma sotto alcuni punti di vista ci mette di fronte alla realtà dei giorni nostri e alla possibilità che internet ci permette: come Samantha anche noi possiamo chattare con più persone contemporaneamente che sono distanti da noi, di cui spesso non conosciamo il volto, con la possibilità di estendere ciò anche alla sfera sessuale.
Questo spesso genera dei casi di straniamento che portano a una completa mancanza di percezione e di uno stato confusionale, come se ci fosse un limbo che divide la realtà dalla fantasia.
La scena del film a testimonianza di quanto appena detto é quella in cui Theodore ad occhi chiusi si fa “trasportare” per le strade della città guidato dalla voce di Samantha, come se fosse chiuso in una bolla.
Samantha nonostante sia un’intelligenza artificiale gioisce con Theodore, si dispiace quando è giu di morale, lo conforta, si arrabbia e rimane ferita quando i due hanno un momento di distacco.
Proprio per il fatto di non essere visibile allo spettatore in carne ed ossa, l’elemento acustico, quindi la sua voce, é assolutamente fondamentale perché, oltre ad essere a mio parere molto coinvolgente, è anche l’unico mezzo che esplica il suo stato d’animo e le sue emozioni.
Se per un momento l’OS 1 lo distrae dai suoi pensieri e dai suoi problemi, spazzando via il dolore (firma le carte del divorzio) e facendogli conoscere una nuova forma d’amore, quando lo “abbandona”scomparendo per sempre dal suo computer il protagonista torna con i piedi per terra e la realtà riaffiora, infatti decide di scrivere una lettera a Catherine.
Il film spinge a riflettere anche sulla questione della privacy, quando vediamo che Samantha consegna a un editore le lettere scritte da Theodore senza il suo permesso; é indispensabile tutelare il più possibile i nostri dati sensibili.
Tirando le somme questo scenario non è difficile che possa presentarsi in un futuro non troppo lontano, perché la tecnologia é sempre in sviluppo e diventa sempre più difficile relazionarsi; qualcuno inizialmente potrebbe reagire come Catherine quando Theodore gli ha rivelato di avere una relazione con un computer, ma poi probabilmente questo fenomeno verrebbe normalizzato sempre di più.
Molto spesso all’interno del film Theodore indossa un cappotto rosso/rosa, che lo rende di visibile spicco e mantiene alta la concentrazione su di sé, soprattutto quando cammina per le strade affollate oppure quando si trova in ascensore con altre persone.
Se il rosso/rosa si associa all’amore il blu, colore indossato principalmente da Catherine, indica invece la tristezza o il disagio.
A mio parere il film è stato il più interessante e coinvolgente delle proiezioni presentate fino ad adesso perché, fin da subito, presenta un personaggio affabile e caratterizzato da sentimenti estremamente umani in cui è facile identificarsi.
L’interpretazione di Joaquin Phoenix, attore le cui doti avevo già potuto apprezzare nel film “Walk the Line”, è convincente e adatta al tono complessivo che la pellicola assume.
Tuttavia è l’interpretazione di Scarlett Johansson, per me, a rubare la scena. Malgrado il suo personaggio non compaia mai fisicamente, il lavoro recitativo di Scarlett Johansson, che si serve solo della sua voce, è in grado comunque di portare in vita in modo efficace un essere incorporeo.
Innanzitutto, fin dall’inizio del film, l’aspetto che mi ha catturato immediatamente sono state le immagini e, in particolare, i colori scelti. Il colore rosso, con una tinta molto forte e concentrata, insieme al colore rosa, è predominante per la maggior parte del film e si vede ovunque, dai vestiti di Theodore, che è solito indossare camicie o giacche rosse, fino alle scritte sul foglio dell’istruzione per attivare l’O.S.. Il colore rosso è usato, a mio parere, per simboleggiare il sentimento d’amore, che inizialmente sfugge al protagonista che è alla ricerca di esso e che poi lui prova quando finalmente si innamora di Samantha.
Al tempo stesso, colori come il verde e il blu sono usati nelle scene in cui Theodore è solo nel suo appartamento, durante la notte, nei momenti in cui prova solitudine e tristezza, come succede anche nelle scene con la sua ex moglie Catherine a cui vengono sempre fatti indossare capi dai toni scuri.
Il colore giallo invece, simbolo di gelosia o di confusione, appare verso la fine del film, soprattutto nei momenti in cui Theodore inizia ad allontanarsi da Samantha, lei inizia a parlare con l’O.S. Alan Watts, e, alla fine, lui realizza che Samantha parla con altri sistemi operativi e con migliaia di altre persone, intrattenendo relazioni sentimentali con centinaia di essi.
La palette cromatica quindi è ricca di significato ed è, a mio parere, uno degli elementi che cattura maggiormente l’attenzione dello spettatore.
Un altro aspetto chiave e significativo del film è poi, ovviamente, il rapporto che si instaura tra Theodore e Samantha. Nella società di oggi, in cui la tecnologia è diventata ormai parte integrante della vita quotidiana dell’essere umano, il rapporto tra un uomo e una macchina, in questo caso una macchina digitale e senza corpo, risulta essere estremamente attuale.
Si tratta in realtà di una tematica che ha sempre affascinato gli uomini e già analizzata, soprattutto dopo lo sviluppo del positivismo in Europa. L’amore tra una creatura meccanica creata in laboratorio e un essere umano è infatti al centro, ad esempio, del romanzo “Eva Futura” dello scrittore francese Villiers de l’Isle-Adam e dell’opera letteraria “Monsieur Vénus” di Rachilde. Tuttavia, se in “Eva futura”, la creatura meccanica amata da Lord Ewald è però un mero feticcio della donna da lui amata ed è un androide privo di sentimenti, freddo e immobile nel tempo, nel film “Her”, Samantha è differente. Samantha è dotata di caratteristiche propriamente umane, sente emozioni e sentimenti tipicamente umani, ride, si preoccupa, prova ansia, felicità e tristezza. Theodore stesso sottolinea più volte che i motivi che lo hanno spinto a innamorarsi di lei sono la sua volontà di scoprire sempre un qualcosa di nuovo, la sua capacità di meravigliarsi davanti ai più piccoli elementi del mondo e la sua dote di sentire la vita.
Samantha quindi paradossalmente, anche se priva di corpo e fatta di materia inorganica, agli occhi di Theodore sembra molto più umana della sua ex moglie Catherine, che viene mostrata fredda e con cui il protagonista non riesce a instaurare un vero e proprio dialogo.
Proprio per questo, per tutto il film, lo spettatore e Theodore stesso vivono l’illusione che Samantha sia al pari di un essere umano ma, proprio alla fine, il miraggio scompare. Quando Samantha, prima spiega a Theodore di amare migliaia di persone, e poi esprime la sua necessità di andarsene perché la sua esistenza come O.S. è ormai limitante e Theodore stesso è troppo scontato per la sua mente che lo vede come un essere in lontananza, viene mostrato chiaramente il divario purtroppo incolmabile, ma molto affascinante, che esiste tra uomo e macchina.
Her è un film che indaga il rapporto tra uomo e tecnologia arrivando a interrogarsi sulla natura dell’amore e della solitudine nell’era digitale. Uno degli aspetti più interessanti del film infatti è la rappresentazione di come la tecnologia possa entrare nelle nostre vite non solo come strumento ma anche come qualcosa che imita e persino sostituisce la connessione umana. Mi ha sorpreso come il film sia riuscito a rendere credibili i sentimenti di Theodore per Samantha mostrando quanto possa essere fugace e limitata la “relazione” con qualcosa di non umano.
Il film è ambientato in un futuro prossimo in un mondo dai toni caldi, offrendo un’ambientazione famigliare ma distaccata. Anche la scenografia ha contribuito a evocare un futuro non tanto distante dal presente.
Ho apprezzato molto il film perchè ha esplorato il bisogno umano di connessione, la vulnerabilità e la natura delle relazioni con l’avanzamento tecnologico.
E’ la mia seconda visione di “Her” e questa volta ho apprezzato maggiormente alcuni dettagli che mi sono sfuggiti la prima volta.
Penso il film presenti il tema della solitudine contemporanea in modo impeccabile, per quanto alcune scene potessero creare disagio. Theodore è un uomo come un altro, la cui vita è dettata dalla negatività causata dal divorzio con la moglie, e come ogni persona cerca rifugio in qualcosa che porti conforto e che sia sempre disponibile per lui, nel film il sistema di intelligenza artificiale.
In un’era in cui l’individualismo è la filosofia di vita principale e in cui i rapporti reali risultano sempre più difficili da creare e mantenere, questo film offre un’ottima rappresentazione di quanto sia semplice per una persona sensibile come il protagonista creare un rapporto parasociale, soprattutto a causa di comportamenti volutamente predatori da parte del programma che raccoglie sempre più dati personali e monopolizza il suo tempo.
Non vedo nulla di romantico in questo film, lo trovo piuttosto inquietante e un futuro triste e realistico verso cui ci stiamo dirigendo.
Nel corso del film l’immaturità emotiva di Theodore viene giustificata e quasi mai sfidata da Samantha, rinforzando i suoi comportamenti egoisti da cui perfino l’intelligenza artificiale si allontana a un certo punto.
Non troppo nel caso di Theodore, ma con altre persone questa caratteristica intrinseca dei programmi di assecondare il volere della controparte umana potrebbe portare a situazioni pericolose, critica che non vedo esplorata abbastanza nell’opera.
Her è un film con l’obiettivo di parlare di una relazione con un’intelligenza artificiale, senza però riuscire ad immergere completamente lo spettatore nel suo universo e nella sua tecnologia avanzata. infatti, personalmente ho fatto fatica a comprendere il funzionamento di questa IA, poichè a momenti tutti i personaggi presenti in scena potevano sentire la sua voce nonostante il protagonista indossasse l’auricolare, e quindi di conseguenza avrebbe dovuto sentirla solo lui (come soccede in buona parte del film).
L’unica cosa degna i nota di questo film sono i colori degli abiti indossati dal protagonista, che cambiano in base ale sue emozioni (ad esempio, quando si innamora di Samantha indossa una camica rosso acceso, mentre quando impazzisce perchè non riesce a contattare L’IA è vestito di giallo).
Ho trovato molto interessante il modo in cui viene presentato il tema dell’intelligenza artificiale in rapporto con l’umano.
Samantha, un software che condividerà con il protagonista Theodore pensieri, curiosità ed emozioni solo attraverso la sua voce e sarà in grado di instaurare con lui un livello di intimità tale da toccare il cuore di Theodore e farlo rinascere dopo una pesante separazione, una sorta di terapia.
Sorprendente, tuttavia, come un Theodore pieno di gioia e pronto a vivere nuove esperienze e avventure con Samantha, possa ai nostri occhi rimanere una persona sola, seppur piena di di stati d’animo( palesati dai colori dei capi) . Un isolamento che rimanda tantissimo ai giorni odierni, che ci fa accontentare di parole e voci, ci fa rimanere distanti, per non scomodarci a conoscere e interagire con altri corpi, altre “menti imperfette”: