Non ci resta che vincere
DATI DI PRODUZIONE
Campeones, di Javier Fesser, Spagna/Messico (2018)
Soggetto: David Marqués; sceneggiatura: Javier Fesser, David Marqués; produttori: Gabriel Arias-Salgado, Luis Manso; produttori esecutivi: Pilar Lebret, Luis Manso; fotografia: Chechu Graf; montaggio: Javier Fesser; scenografia: Javier Fernandez; costumi: Ana Martinez Fesser; musica: Rafael Arnau
Interpreti: Javier Gutiérrez (Marco), Athenea Mata (Sonia), Juan Margallo (Julio), José de Luna (Juanma), Sergio Olmos (Sergio), Jesús Vidal (Marín), Julio Fernández (Fabián)
SINOSSI
Cinico e frustrato, Marco è vice allenatore di un’importante squadra di pallacanestro spagnola. A seguito di un incidente automobilistico avvenuto in stato di ebbrezza, l’uomo deve scontare una pena di sei mesi svolgendo lavori socialmente utili presso un centro ricreativo per disabili. In virtù della sua esperienza come allenatore, gli viene affidato il compito di formare una squadra, gli “Amigos”, formata da dieci giovani affetti da deficit mentali. Nonostante gli iniziali screzi, la semplicità dei ragazzi e la loro motivazione nel voler conquistare un riconoscimento cambieranno drasticamente la vita di Marco.
TRAILER
COMMENTO
Campione d’incassi in Spagna che ne ha fatto il suo candidato per la corsa agli Oscar, Non ci resta che vincere è una commedia che riflette sulla percezione della disabilità da parte della società e dei cosiddetti “normodotati”. Oltre gli stereotipi e i pregiudizi, il film di Fesser sperimenta il binomio sport-cinema per costruire un elogio alla diversità e combattere la comune idea che la disabilità comporti necessariamente un’esistenza infelice. Fra battute esilaranti e sketch divertenti, il lungometraggio viene apprezzato anche per un cast composto da persone veramente affette da deficit mentali: gli attori non professionisti si mettono in gioco davanti alla macchina da presa e dimostrano come sia necessario includere nel discorso pubblico sui disabili i medesimi, facendo sì che siano loro stessi a mostrare i loro limiti e le loro potenzialità. Sincero ma brillante, Non ci resta che vincere si dimostra capace di raccontare la disabilità attraverso il linguaggio della commedia.
PREMI
- Premi Goya 2019: Miglior attore emergente (Jesús Vidal)
- Días de Cine Awards 2019: Premio del pubblico (Javier Fesser)
CRITICA
L’originalità della idea alla base del film è rafforzata dalla scelta di chiamare veri disabili per farli recitare davanti alla macchina da presa: la loro spontaneità e le reazioni in presa diretta regalano un sano realismo che non scade mai nella retorica o nel falso pietismo. Anche le situazioni umoristiche non ledono minimamente dignità e identità ricordando in parte la caustica ironia del Quasi Amici di Olivier Nakache.
—Fabio Fulfaro, Sentieri Selvaggi
Non ci resta che vincere è una “dramedy” dei buoni sentimenti, dall’humor gentile e brillante che vede nei protagonisti diversamente abili il suo punto di forza. Interpretati da attori non professionisti, il gruppo di simpatici e imbranati giocatori con la loro contagiosa voglia di vivere, nonostante le difficoltà affrontate sin dalla nascita, è un bellissimo esempio di come ogni vita valga la pena di essere vissuta. Senza scadere nel patetismo o nella retorica, Fesser riesce a costruire una commedia, ispirata a vicende reali, trattando temi controversi con leggerezza e creando molti spunti di riflessione.
—Caterina Sabato, Cinematographe.it
VOTA IL FILM
Non ci resta che vincere è un film che utilizza in chiave comica la responsabilità di lanciare un messaggio denso di significato: quello di normalizzare le disabilità. Si tratta di un film che oltre farti sorridere riesce anche a commuoverti, con la figura dell’allenatore che da un atteggiamento di scetticismo e di distanza nei confronti dei ragazzi passa a sentirsi parte della squadra stessa, abbandonando i pregiudizi e abbracciando le differenze. Si tratta di un film non scontato da vedere sullo schermo, che ti insegna a guardare da più vicino ciò che spesso non ci fermiamo ad osservare abbastanza.
“Non ci resta che vincere” è un film che mette in scena in maniera coinvolgente, divertente, spensierata ed emozionante una realtà poco valorizzata e rappresentata: la DISABILITÀ.
Quest’opera cinematografica è un tentativo ben riuscito di dedicare uno spazio più ampio ad un tema così significativo ed importante per la nostra società: una nuova narrazione della disabilità vista con gli occhi dell’inclusione, dell’equità e del rispetto reciproco. Valori messi in scena all’interno di un contesto comunitario come il cinema: un cinema che unisce, che include, che integra e che permette a tutti di essere rappresentati ed esaltati nelle proprie particolarità.
L’intento di fondo è volto a mostrare come l’esperienza di ognuno di noi, nelle nostre diversità e anche fragilità, è una risorsa e una fonte di arricchimento per tutti.
Questa proiezione sottolinea come lo sport sia uno straordinario mezzo d’integrazione e inclusione di tutte le particolarità di ognuno, e che soprattutto permette di far risaltare la persona in quanto tale e non in riferimento esclusivo alla disabilità che possiede (al centro vi è la persona e non la disabilità).
Questo film del 2018 è molto significativo in quanto mette in luce il rispetto e la valorizzazione delle potenzialità di ognuno in modo efficace e non pietistico: attraverso il basket, un gioco di squadra, vediamo come lo sport sia un elemento di unione, condivisione, integrazione ed esaltazione della personalità e delle abilità di ognuno, sia questa una persona diversamente abile o normodotata. Non esiste più disabilità o no, c’è il valore in sé della persona e delle competenze di ognuno: delle ABILITÀ PERSONALI che ci caratterizzano e ci rendono unici.
Lo spettatore si ritrova a fare lo stesso percorso dell’allenatore, inizialmente scettico e scorbutico, ma che infine ritrova la serenità e capisce come guardare oltre la disabilità. Perché chiunque, se ha qualcuno che crede in lui, può riuscire a superare i propri limiti e a mettersi in gioco.
La prima impressione percepita attraverso le scelte del regista, riguardo il tema della disabilità, è la scelta di enfatizzare le differenze tra i ragazzi, hanno caratteristiche diverse come hobby, lavori e paure differenti tra loro: c’è chi ha paura dell’acqua per motivi traumatici; chi cade in un momentaneo stato di insensibilità agli stimoli esterni; chi conosce tutti gli orari degli aerei e le loro destinazioni.
Trovo meraviglioso come sia riuscito a tirar fuori la loro parte umana e contemporaneamente, mostrare i pregiudizi e gli aspetti negativi che i “normodotati” spesso pesano ma non ammettono apertamente.
La seconda caratteristica degna di nota è la capacità di mostrare temi scomodi per la società con un approccio giocoso, senza però mancare di momenti emozionanti: come la scena in cui l’allenatore abbraccia il ragazzo idrofobico, dopo averlo aiutato a superare la sua paura.
I ragazzi stessi sono mossi dalla pura voglia di vincere giocando, di sostenersi come una squadra, sbilanciando i valori sia sportivi sia di vita dell’allenatore.
Il lungometraggio ci insegna a vivere i momenti felici insieme con rispetto, abbracciando le diversità, che alla fine ci rendono tutti unici.
È affascinante come questo film affronta il tema della disabilità attraverso il basket che diventa mezzo di inclusione ponendo al centro le qualità della persona e non la sua problematica.
Fa riflettere come grazie all’ironia si possano affrontare argomenti delicati e gli stereotipi legati ad essi.
Il cinema, oltre al suo ruolo intrattenitore, si configura come un potente strumento in grado di veicolare messaggi di denuncia, critica e rivendicazione. “Non Ci Resta che Vincere” emerge come un film che si propone di restituire visibilità a chi troppo spesso viene escluso dalla società, toccando nodi fondamentali nel contesto educativo contemporaneo.
Il tema delle disabilità, dell’inclusione e dello spirito di gruppo assume un ruolo centrale nel film, rivelando la potenzialità del cinema nell’aprire dibattiti cruciali. Il lungometraggio ci guida nella comprensione profonda di come la disabilità non sia una limitazione, ma piuttosto un modo diverso di essere. Inoltre, è cruciale sfatare il concetto limitante che la felicità sia strettamente legata a parametri esterni come la salute fisica o la conformità a determinati standard. Le persone con disabilità spesso sviluppano una resilienza straordinaria, imparano a valorizzare le piccole gioie della vita e a superare sfide quotidiane con determinazione. La felicità, in questo contesto, diventa una manifestazione di forza interiore e adattabilità.
Contrastare il diffuso stereotipo che la disabilità implichi inevitabilmente un’esistenza infelice è un atto di fondamentale importanza, poiché contribuisce a sfatare pregiudizi dannosi e a promuovere una visione più realistica e inclusiva delle persone con disabilità. In ambito pedagogico, l’approccio iniziale deve essere quello di abbracciare la diversità come un’opportunità di apprendimento reciproco.
Nel contesto educativo, è imperativo adottare approcci personalizzati, metodi e risorse che soddisfino le esigenze uniche di ciascun individuo, valorizzando la diversità e consentendo la sua fioritura. La creazione di spazi accoglienti, rispettosi e inclusivi diventa essenziale, dove ciascun individuo si senta riconosciuto e parte integrante del gruppo.
Nel film si può osservare spirito di gruppo, rafforzato dalla cooperazione, l’aiuto reciproco e condivisione di esperienze. Il contesto pedagogico diviene il terreno fertile per la crescita personale e collettiva, promuovendo responsabilità collettiva e apprezzamento della forza della diversità.
In ambito pedagogico bisognerebbe creare una comunità di apprendimento dinamica in cui i bambini imparano non solo dagli educatori ma anche tra di loro. L’inclusione e lo spirito di gruppo diventano veicoli di insegnamento di competenze cruciali come empatia, resilienza e rispetto reciproco, qualità fondamentali che trascendono il contesto scolastico.
Affrontare le sfide delle disabilità, promuovere l’inclusione e coltivare lo spirito di gruppo non sono solo obiettivi educativi; rappresentano un impegno tangibile verso la costruzione di un mondo più giusto e compassionevole. Gli educatori, in questo scenario, assumono un ruolo cruciale nella formazione di individui capaci di superare le differenze, abbracciando la diversità come una risorsa e non come un ostacolo.
~Ghislandi Silvia~
Il film “non ci resta che vincere” riflette, in alcuni momenti ironicamente in altri con serietà, sul tema della disabilità. In questo commento vorrei riportare ciò che io, studentessa di scienze dell’educazione con disabilità, ho colto da questa proiezione. Conosco il tema della disabilità piuttosto bene in quanto mi ritrovo a doverlo vivere quotidianamente, non solo per la mia condizione ma anche per il percorso di studi che ho scelto. Credo che il film sia utile per far vedere ancora una volta alle persone “normo dotate” che ognuno di noi è una persona in primis e deve essere trattata come tale. Tuttavia non bisogna escludere, non considerare, guardare oltre la condizione di disabilità, che c’è, è oggettivamente presente e a volte obbliga a fare le cose in modo diverso dagli altri. Non si deve considerare l’aspetto della disabilità come totalmente caratterizzante quella persona: il down, il cieco, la persona in carrozzina; ma neanche fare finta che non ci sia, come si vede in una delle pubblicità progresso per il tre dicembre, giornata della disabilità. La disabilità è, in un individuo, un aspetto come tanti altri: il carattere, il colore degli occhi, la fisionomia, la personalità. Per concludere penso che in ambito educativo la visione di questo film sarebbe molto utile a gruppi di ragazzi con disabilità, soprattutto in età adolescenziale, per aiutarli a ironizzare sulla loro condizione o permettere, a chi non lo ha ancora fatto, di poter compiere un primo passo per accettarsi.
Ad un certo punto della proiezione, mi sono guardata attorno e ho visto tutte le persone attorno a me sorridere. Io stessa ho sorriso per gran parte del film, il coinvolgimento emotivo è il suo punto di forza: il regista ha saputo toccare con leggerezza un mondo lontano dallo spettatore, forse in alcuni punti in modo eccessivamente romanzato, ma sempre credibile. Lo spettatore si è affezionato ai protagonisti, vedendo le persone oltre la disabilità, specifica non così scontata. Questo film mi ha dato anche uno spunto di riflessione su carriera attoriale e disabilità: nella maggior parte dei casi, non in questo film, sia per quanto riguarda la disabilità fisica sia quella psichica, i personaggi delle pellicole sono interpretati da attori professionisti che non rientrano nella sfera della disabilità, questo aspetto non è un fattore limitante per il film? Il cinema non perde l’occasione di comunicare a fondo una realtà?
Questo film si è rivelato più bello del previsto anche se la storia è tutto sommato semplice, quella di una punizione che si rivela un’opportunità di crescita e di stringere nuovi legami di amicizia, di riflettere sulla propria vita, migliorare la propria vita e quella degli altri. La storia di persone speciali che si ritrovano a dover combattere con dei pregiudizi e rivelano tutta la loro prorompente simpatia. Morale della favola: non giudicare mai e non bere prima di guidare.
Il film è abbastanza divertente, toccante e stimolante, però semplifica la questione. la claustrofobia e l’idrofobia non sono risolte così facilmente. Non so, comunque secondo me, il prerequisito per accettare e affrontare qualcosa è avere una percezione corretta e chiara di esso. Per questo non mi piace il modo in cui il problema viene risolto nel film.
Film che cattura il telespettatore puntando sull’ironia, spesso tagliente, che sa fare riflettere, sa instillare un tarlo/punto di domanda a chi da per assodate determinare questioni. Penso che il suo punto di forza sia proprio ciò. Questo l’ho potuto riscontrare sentendo anche i commenti degli osservatori a me vicini. Sicuramente un film da proporre.
Il film “non ci resta che vincere” tratta di un tema molto importante ma che, al tempo stesso, viene, a parer mio, trascurato dalla società odierna. Oggi, infatti, la disabilità rappresenta un difetto da mascherare ma ciò è sbagliato perché ognuno di noi ha delle potenzialità da mettere a frutto. Nel film, ad esempio, i giocatori sono riusciti ad arrivare secondi nel campionato di basket. Ne consegue che, ogni persona, anche quelle diversamente abili, possono svolgere l’attività che desiderano. La scena che più mi ha colpito è quella in cui, dopo essere arrivati secondi, la squadra di Marco abbraccia quella avversaria, come se tutti fossero amici. Personalmente credo che ciò sia un atto molto dolce e dovremmo imparare da loro per imparare a vedere il meglio delle cose.
Questo film mi è piaciuto molto perché affronta il tema della disabilità, ancora sottovalutato al giorno d’oggi.
Ne è l’esempio del film Marco Montes, allenatore di basket di questi ragazzi: l’uomo sminuisce le loro potenzialità solo perché vede ragazzi con disfunzionalità lasciando vincere i suoi pregiudizi.
Inoltre mi è piaciuto il film perché affronta un tema importantissimo: ci fa riflettere ma allo stesso tempo anche divertire.
La pellicola tratta della disabilità ponendo però al centro il tema dell’inclusione tramite lo sport, che quindi diventa strumento di socializzazione e mezzo per superare i propri limiti. A differenza di quanto spesso avviene in altri film che trattano la questione della disabilità “Non ci resta che vincere” evita il pietismo e sceglie la via della commedia leggera; l’obiettivo infatti non è quello di sottolineare le difficoltà delle persone disabili, ma piuttosto di mettere in luce le caratteristiche e potenzialità dei vari personaggi. In effetti, come ci insegna la pedagogia, è proprio questa capacità di accentuare le risorse del singolo, e non tanto le mancanze, a trasformare la disabilità e la diversità in una ricchezza.
Una tematica che viene affrontata nel film è quella del valore educativo dello sport, utile per introdurre alla conoscenza questioni importanti come: il rispetto per gli altri, la collaborazione, l’importanza di una forte motivazione, l’impegno e soprattutto inclusione. Il finale mostra inoltre, l’importanza di sapersi godere i momenti felici senza farsi prendere dallo sconforto in caso di sconfitta, perché lo sport dev’essere vissuto come divertimento ed esperienza formativa e non soltanto come competizione.
Da un punto di vista pedagogico, il film è importante perché si pone l’obiettivo di sensibilizzare e accrescere la consapevolezza dello spettatore verso la disabilità, con l’obiettivo di garantire pari diritti e dignità alle persone disabili. Questo obiettivo, da porre al centro dell’agenda socio-politica, potrà essere raggiunto solo quando verranno abbattuti i pregiudizi rivolto a queste persone. Il film agisce sulla percezione che la società ha delle persone con disabilità, e aiuta ad allenare la mente con il fine di sradicare a poco a poco i preconcetti che ruotano attorno a questo tema. Film come questo possono efficacemente insegnare, tanto ai bambini quanto agli adulti, ad aprirsi agli altri, riuscendo a relazionarsi con le persone, andando oltre alle loro disabilità.
Ritengo inoltre che il film svolga un altro ruolo molto importante da un punto di visa educativo; infatti, rappresentando una minoranza sullo schermo, incentiva anche l’identificazione del pubblico. Sarà più facile per i bambini disabili che stanno costruendo la loro identità, accettare sé stessi e la loro condizione se hanno modelli a cui ispirarsi e in cui identificarsi.