L’odio
DATI DI PRODUZIONE
La Haine, di Mathieu Kassovitz, Francia (1995)
Sceneggiatura: Mathieu Kassovitz; produttore: Christophe Rossignon; fotografia: Pierre Aïm; montaggio: Mathieu Kassovitz, Scott Stevenson; scenografia: Giuseppe Ponturo; costumi: Virginie Montel
Interpreti: Vincent Cassel (Vitz), Hubert Koundé (Hubert), Saïd Taghmaoui (Saïd), Abdel Ahmed Ghili (Abdel), Solo (Santo), Héloïse Rauth (Sarah), Rywka Wajsbrot (Nonna di Vinz), Edouard Montoute (Darty)
SINOSSI
Nella banlieu parigina, Vinz, Hubert e Saïd sono amici da una vita, e vivono quotidianamente in un clima di tensione a causa dei frequenti scontri con la polizia francese. La situazione precipita quando un agente malmena brutalmente il giovane Abdel, il quale finisce ricoverato in ospedale, in condizioni critiche; a questo evento seguono violenti scontri tra la polizia e manifestanti provenienti dalla banlieu. Anche i tre amici covano risentimento nei confronti dei gendarmi, specialmente Vinz, il quale ha maturato un odio profondo che si acuisce quando sottrae una pistola a un agente durante gli scontri…
TRAILER
COMMENTO
Premiato durante l’edizione 1995 del Festival di Cannes con il Premio per la miglior regia, L’odio è sin dall’anteprima francese oggetto di controversie a causa della rappresentazione della violenza urbana e della polizia. Dopo il suo esordio con il lungometraggio Meticcio (1993), Mathieu Kassovitz sceglie di narrare la condizione degradata in cui riversa la banlieu parigina attraverso il punto di vista di tre giovani dalle prospettive di vita incerte, i quali si scontrano costantemente con le difficoltà insite nella loro estrazione sociale. Vinz (Vincent Cassel) proviene da una famiglia ebraica, ricolmo di rabbia e dall’atteggiamento ostile; Hubert è un ragazzo di colore che sogna di diventare un pugile per poter accudire la propria famiglia; Saïd ha origini maghrebine ed è un immigrato di seconda generazione che cerca di sopravvivere nell’ambiente ostile della banlieu. Il violento pestaggio ai danni di Abdel non è l’evento scatenante della furia che andrà crescendo nel corso della narrazione, ma ha radici profonde che s’innervano nel contrasto fra la città e la periferia. Girato in un bianco e nero dal sapore onirico ma grottesco, L’odio ha segnato un punto di svolta nel cinema mondiale postmoderno, sia da un punto di vista contenutistico, sia dalla prospettiva stilistica, caratterizzata in particolar modo da un montaggio sincopato, primissimi piani esasperati e virtuosismi della macchina da presa. Tra chiari rimandi al cinema della New Hollywood –Taxi Driver (M. Scorsese, 1976) e Il cacciatore (M. Cimino, 1978), fra gli altri – e la decostruzione di archetipi narrativi, L’odio ha reinventato il linguaggio filmico e ha insegnato al cinema a parlare in verlan.
PREMI
- Festival di Cannes 1995: Premio per la miglior regia (Mathieu Kassovitz);
- European Film Awards 1995: Miglior film giovane (Mathieu Kassovitz);
- Premi César 1996: Miglior film (Mathieu Kassovitz), Miglior montaggio (Mathieu Kassovitz e Scott Stevenson), Miglior produttore (Christophe Rossignon);
- Premi Lumière 1996: Miglior film (Mathieu Kassovitz), Miglior regista (Mathieu Kassovitz).
CRITICA
Il sarcasmo postmoderno è l’elemento che colpisce di più, insieme alla sapienza con cui Kassovitz ha saputo gestirlo, mescolandolo e occultandolo ad elementi da cinema sociale. È il postmoderno, all’epoca, siamo nel 1995, non ancora così sfacciatamente e ossessivamente sdoganato e ricercato come accadrà di lì a (veramente molto) poco, che fa diventare Vinz un personaggio comico nel suo essere così insensatamente tragico. In un giorno e una notte Kassovitz re-inventa un cinema che, in quegli anni come adesso, latitava, lo colora con il bianco e il nero, (il giorno e la notte) e lo fa parlare in verlan.
—Valentina Gentile, Sentieri Selvaggi
Tre sono i “difetti” di Mathieu Kassovitz. A soli 28 anni è del tutto padrone della macchina da presa. Kassovitz è troppo bravo, dunque. Almeno lo è dal punto di vista d’una critica afflitta da volontà di potenza, irritata perché non può distribuire giudizi e voti stando un paio di metri al di sopra dell’opera e dell’autore. In secondo luogo, e dallo stesso punto di vista, Kassovitz è troppo furbo, ha troppo senso dello spettacolo. Invece di abbandonare i suoi personaggi al grigio della periferia, li costruisce, li porta in primo piano, anche inventando per loro situazioni da quasi-commedia.
—Roberto Escobar, Il Sole 24 Ore
VOTA IL FILM