La mia vita da zucchina
DATI DI PRODUZIONE
Ma vie de Courgette, di Claude Barras, Francia/Svizzera/Portogallo (2016)
Soggetto: Gilles Paris; sceneggiatura: Céline Sciamma, Germano Zullo, Claude Barras, Morgan Navarro; fotografia: David Toutevoix; montaggio: Valentin Rotelli; scenografia: Ludovic Chemarin, Delphine Dumas
Doppiatori originali: Gaspard Schlatter (Icare “Zucchina”), Sixtine Murat (Camille), Paulin Jaccoud (Simon), Michel Vuillermoz (Raymond), Raul Ribera (Ahmed), Estelle Hennard (Alice), Elliot Sanchez (Jujube)
SINOSSI
Icare è un bambino di nove anni che vive in una situazione di grande disagio familiare. Dopo aver inavvertitamente causato la morte della madre viene portato in orfanotrofio e qui, dopo alcune difficoltà di ambientamento, riesce a costruirsi una rete di amicizie. L’arrivo della piccola Camille porta un inatteso cambiamento nelle dinamiche dell’istituto, soprattutto quando si scopre che la piccola ha assistito all’omicidio della madre ed ora è rimasta sola. Con l’aiuto del poliziotto Raymond, Icare cercherà di aiutare Camille a sottrarsi alla custodia di una zia disinteressata ed egoista.
TRAILER
COMMENTO
Il cinema per bambini, che sia animato o meno, è spesso considerato un genere poco interessante perché si ritiene – a volte non del tutto a sragione – che la giovane età degli spettatori richieda necessariamente delle forme di banalizzazione della complessità del mondo. Se i prodotti seriali presenti sui canali televisivi o sulle piattaforme sembrano in effetti confermare questa diagnosi, il cinema ha ancora la possibilità di proporsi come un territorio di sperimentazione tanto formale quanto narrativa, proponendo anche per i più piccoli dei titoli che, pur rimanendo pienamente comprensibili, sono capaci di dare un’immagine complessa del presente. È il caso di La mia vita da Zucchina, film che non ha paura di affrontare di petto alcune questioni tabù dell’infanzia (la violenza domestica, le conseguenze di famiglie problematiche sull’identità dei bambini etc.). La grande intelligenza del film, giustamente accolto come uno dei più interessanti del cinema animato degli ultimi anni, sta quindi nel non banalizzare situazioni borderline, senza per questo dimenticare l’importanza della speranza in un domani migliore. Se l’orfanotrofio è, per una volta, caratterizzato non soltanto come un luogo di reclusione e momentaneo abbandono ma come un vero e proprio microcosmo relazionale in formazione, è soprattutto al di fuori delle sue mura che gli occhi dei personaggi (e dello spettatore) si rivolgono con insistenza. Il regista offre così uno sguardo sull’infanzia che è capace non soltanto di rivolgersi ad essa con delicatezza e intelligenza, ma anche di far mettere lo spettatore adulto nei panni dei protagonisti, mostrando quanto spesso la complessità del mondo dei bambini sia sottovalutata o comunque poco compresa.
PREMI
- Festival Internazionale del film d’animazione di Annecy 2016: Miglior lungometraggio
- Premi Oscar 2017: Candidatura per il miglior film d’animazione
- Golden Globe 2017: Candidatura per il miglior film d’animazione
CRITICA
Claude Barras ha saputo mettersi ad altezza di bambino deprivato senza mai farsi tentare da uno sguardo dall’alto in basso. Lo ha fatto consegnando ad ognuno dei protagonisti (pupazzi animati in stop motion) dei grandi occhi capaci di attrarre qualsiasi spettatore (bambino o adulto che sia) che non sia privo di sensibilità.
—Giancarlo Zappoli, Mymovies
La mia vita da Zucchina […] è un minimale romanzo di formazione che, in poco più di un’ora, riesce a costruire un mondo e a descrivere, con una tensione capace di non scivolare mai nella retorica e nel piagnisteo, il dramma disagiato del crescere e la forza inspiegabile che porta a superare traumi e difficoltà.
—Federico Pedroni, Cineforum.it
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Duro a morire lo schema mentale per cui esistono cose per bambini e cose per adulti e le cose considerate per bambini da adulti non dovrebbero più interessare. Le fiabe sono per bambini (e in realtà non è così), l’animazione è per bambini, ma in realtà c’è animazione e animazione. Con questo film si vuole provare ad educare i bambini alla complessità del mondo a introdurli a un tema difficile, a parlar loro di altri bambini meno fortunati e si riesce a farlo con un certo lirismo, nonostante alcuni momenti disturbanti come il fatto di riscontrare che non sempre anzi quasi mai puoi contare sull’empatia del prossimo nei momenti difficili, come riscontra il nostro protagonista per cui non è immediato diventare amico di tutti. Ma dopotutto questo film riesce ad addolcire una realtà che è molto meno felice di così.
Ho davvero apprezzato l’ambientazione di questo film, La mia vita da zucchina, in un mondo così reale. I temi che affronta sono delicati ma i tabù sono banditi. L’adolescenza viene narrata nei suoi molteplici aspetti senza esclusione di colpi.
Diretto, non lascia scampo agli interrogativi che sorgono inevitabilmente sui diritti che (non) garantiamo all’infanzia e adolescenza.
“La mia vita da zucchina” è un film d’animazione (realizzato mediante la tecnica dello stop motion in cui i tradizionali disegni sono sostituiti da pupazzi, filmati fotogramma per fotogramma), di grande valore pedagogico-educativo, un ottimo esempio di come il cinema animato possa rappresentare un efficace mezzo di comunicazione e rappresentare situazioni molto complesse, che veicolano significati e valori profondi.
Il film ha come tema la condizione dei bambini orfani e con disagi familiari gravi e si distingue per la sua grande delicatezza e sensibilità, gettando inoltre luce sul grande lavoro svolto all’interno delle case-famiglia.
Il protagonista Zucchina (Icare), ha una storia famigliare tragica e complessa; all’interno del film viene narrata la sua “avventura” all’interno della casa-famiglia in cui viene portato: la narrazione rende visibili le emozioni del piccolo Icare e una delle possibili situazioni che i bambini reali potrebbero vivere in un contesto simile al suo (da questo punto di vista il cinema si conferma un ottimo strumento di immedesimazione per lo spettatore).
Il film racconta il dramma di questo bambino, il suo dolore, il suo essere spaesato, senza mai scendere però nella tragedia. È un’ottima rappresentazione della sofferenza che possono provare i bambini, perché mostra in modo credibile di cosa è fatta un’infanzia di maltrattamento e come vi siano istituzioni che tentano di risanare i vuoti profondi che questa lascia nei bambini.
Questo film illustra anche come, all’interno delle istituzioni di cura, la vita dei giovani orfani rimanga comunque dura e complessa: i bambini tentano in ogni modo di rimarginare le loro ferite e reagiscono a questa circostanza in modi differenti (chi si maschera di una sfacciataggine che non possiede e chi si chiude in sé stesso trattenendo il dolore).
Il film illustra poi uno altro aspetto fondamentale: la difficoltà di doversi inserire in un contesto già formato, di trovare il proprio spazio in un luogo nuovo senza mai aver sperimentato relazioni positive e durature. Nella casa-famiglia della pellicola, sotto l’occhio vigile della coppia che li accoglie e della direttrice, possono accadere però anche cose positive, si può scoprire l’amore e veder ricompensata la speranza di avere finalmente una famiglia.
Il film ‘’La mia vita da zucchina’’ è senza dubbio un prodotto interessante da un punto di vista pedagogico perché dimostra come il cinema possa essere un mezzo educativo efficace per veicolare messaggi rilevanti per i più piccoli. A partire dal titolo, il film offre una rappresentazione ‘a misura di bambino’, che però non semplifica la realtà e accompagna gli spettatori nell’analisi di temi di non facile esplorazione.
Il film si focalizza su questioni che non sono spesso analizzate nei film per bambini; allontanandosi dalla visione idealizzata della famiglia e dell’infanzia, La mia vita da zucchina affronta infatti il tema di una prima adolescenza travagliata e colma di situazioni non sempre serene e accomodanti.
Il valore pedagogico del film risiede nella sua capacità di trasmettere un messaggio formativo sia per l’educazione dei più piccoli sia per la formazione dei genitori, grazie al coraggio nell’affrontare temi forti e di drammatica attualità. In questo, il film si propone di sottolineare l’importanza di valori come quello della amicizia e dell’importanza dell’ascolto degli altri, senza dimenticare l’importanza di combattere il pregiudizio e di aprirsi al dialogo con l’apparentemente diverso. Nel ragionare su queste importanti tematiche, il film non semplifica la realtà e affronta apertamente
le sofferenze dell’abbandono e i problemi derivanti da complesse dinamiche famigliari. Così facendo, viene incentivato un approccio proattivo alle difficoltà della vita, che porta a convivere con le proprie ferite e a ricercare nei valori della condivisione, dell’empatia e nella solidarietà le basi per la formazione di se stessi.